“La democrazia non è
una conquista definitiva, ma un bene prezioso che va difeso. Il 23
aprile ero alle Nazioni Unite e ho constatato a che punto
il nostro mondo sta retrocedendo su questioni che pensavamo
acquisite una volta per tutte.
Siamo nella tempesta,
ma sento che c’è una forza in Italia che può stabilizzare
questo vascello sballottato qua e là, in rapporto ai valori di
democrazia, del rispetto dell’essere umano e della sua dignità. Voi
italiani avete un peso, forse non ci credete, ma è così: usatelo per
difendere i diritti umani”.
L’appello all’Italia
e all’Europa tutta a non rinnegare l’umanesimo su cui si fonda è
stato lanciato dal premio Nobel per la pace 2018, il dott.
Denis Mukwege, in visita in Italia in questi giorni.
Un programma fitto
di incontri, il suo: in udienza dal papa in piazza San Pietro,
un incontro a Sant’Egidio, poi a Milano una conferenza
pubblica, organizzata dalla Società San Paolo in
collaborazione col Pime e la Caritas Ambrosiana, una
cena conviviale con la comunità congolese in Italia e i suoi
sostenitori e molti altri.
Già, perché non
tutti sanno che il nobel Mukwege, oltre che ginecologo è
anche pastore protestante, membro della Communauté des
Églises de Pentecôte en Afrique centrale (CEPAC).
Un uomo tutto d’un
pezzo, imponente per la sua altezza, ma soprattutto per la sua voce
pacata ma ferma. Un viso scavato da profondi solchi, dovuti alle
efferatezze che ogni giorno si trova costretto a curare.
Lo stupro
usato come arma di guerra, con una brutalità difficilmente
immaginabile, ha fatto del dott. Mukwege anche un pioniere a
livello medico, con diverse pubblicazioni che trattano il tipo di
interventi e cure necessari per la ricostruzione di apparati
genitali devastati dalla violenza.
Da anni, davanti a
tanto orrore, la sua attività medica si affianca a quella di
“ambasciatore di pace”, per chiedere alla comunità internazionale di
intervenire per fermare una guerra tanto sanguinosa e spietata che
si combatte sul corpo delle donne.
“Stiamo subendo una
guerra che ci è imposta dall’esterno da vent’anni: non è una guerra
fra tribù, non è una guerra fra religioni, né fra regioni diverse. È
una guerra per controllare le risorse naturali della
Repubblica Democratica del Congo.
Dio ci ha benedetto
con le terre rare, che troviamo in grande quantità nel nostro
Paese, ma anziché portare beneficio alla popolazione, chi si scontra
per controllarle getta la popolazione nella povertà più abietta.”
Quelle stesse terre
rare che in queste ore sono al centro dello scontro commerciale fra
Stati Uniti e Cina. Denis Mukwege sottolinea che
l’estrazione legale e rispettosa delle norme potrebbe realizzarsi e
apporterebbe benefici a tutti, ma la cupidigia umana porta invece
allo sfruttamento di donne e bambini nelle miniere,
dove ne muoiono ogni giorni a decine.
“Le donne sono usate
come schiave sessuali e cacciate dai loro villaggi per
occupare territorio. Non è accettabile. Ci sono imprese italiane che
potrebbero venire in Congo per lavorare secondo le norme
internazionali, ma nessuno vuole farlo perché c’è la guerra. Per
altri è più comodo sfruttare la situazione pagando pochi
spiccioli”.
Si parla di sei
milioni di morti. Ci sono massacri ogni giorno,
centinaia di migliaia di donne stuprate. Cinquantamila solo
quelle curate a Bukavu all’Hôpital de Panzi del dott.
Mukwege, dove arrivano solo i casi più gravi. “L’ultimo caso che ho
curato prima di partire era un bebè di sette mesi.
Nella mia carriera,
il bambino più piccolo vittima di stupro aveva sei mesi, la donna
più anziana non sapeva la sua data di nascita, ma aveva più di
ottant’anni”.
In questo momento,
spiega Mukwege, nel paese ci sono quattro milioni di sfollati
interni, candidati alla morte perché non hanno cibo e acqua
potabile.
“Se volete saperne
di più, chiedete ai missionari. In Congo ci sono tanti missionari
italiani di diverse congregazioni che negli anni hanno costruito un
ponte straordinario, anche nelle zone più remote. Loro possono dirvi
tutto. È anche grazie a loro se l’Italia è campione nella
costruzione di ponti e non di muri”.
E lancia un appello:
“Esiste un rapporto, il rapporto Mapping, stilato dieci anni
fa dagli esperti dell’Alto Commissariato per i Diritti Umani
dell’Onu: in quelle pagine sono stati identificati 617
crimini di guerra e contro l’umanità, anche crimini di
genocidio, e i relativi colpevoli. Sono dieci anni che questo
rapporto è in un cassetto.
Nessuna
raccomandazione ne è venuta, nessuna misura è stata presa. I
responsabili che hanno seppellito donne vive a
Mwenga, che hanno bruciato villaggi, che hanno ucciso
preti e un arcivescovo, continuano a governare e ad uccidere
davanti agli occhi del mondo.
Chiedo a voi tutti
di sostenermi nel domandare, l’Italia è una potenza europea, è vero,
dovete saperlo, voi avete forza, potete fare pressione, spingete
perché questo rapporto non resti nascosto. Prima che i testimoni e
le prove spariscano.
Il Consiglio di
Sicurezza dell’Onu istituisca un Tribunale Internazionale
per giudicare i crimini commessi in Repubblica Democratica del
Congo: non tanto per mettere la gente in prigione, ma perché si
cessi di uccidere ancora.
E perché finalmente
il posto delle donne nella società sia rispettato. La giustizia è la
sola che può garantire il valore morale di una società”.
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