La
Repubblica islamica - Dalla cacciata dello Scià nell’aprile
del 1979 gli sciiti hanno preso le redini del governo. Al
vertice dello Stato c’è la “guida suprema”
La politica aggressiva degli americani nei confronti
dell’Iran, che in questi giorni ha raggiunto il suo
pericoloso acme con l’attacco cyber contro i sistemi
missilistici iraniani, ha origini lontane che risalgono a
trent’anni fa quando nel 1979 la rivolta popolare islamica
cacciò lo Scià di Persia, che era totalmente appiattito
sugli Stati Uniti, e porterà al potere l’ayatollah Khomeini.
A quell’epoca la situazione sociale in Persia era questa:
c’era una sottile striscia di borghesia ricchissima i cui
figli e figlie si potevano vedere nelle migliori scuole di
Londra, tutto il resto era povertà.
L’idea di Khomeini era di trovare una via islamica allo
sviluppo, che non fosse né comunista né capitalista, come si
evince da una straordinaria lettera che l’Ayatollah inviò a
Gorbaciov nel 1989 in cui gli diceva: ora che state
lasciando il comunismo non fatevi attrarre dai verdi prati
del capitalismo.
Il programma di Khomeini, sviluppo ma mantenendo le
tradizioni islamiche, ha funzionato bene dal punto di vista
sociale perché oggi in Iran c’è un’estesa borghesia che si
riconosce nel premier Rouhani, mentre il rispetto delle
tradizioni è lasciato alla guida suprema Ali Khamenei.
Questo è il primo tempo della interminabile partita fra Iran
e Stati Uniti che non potevano tollerare la cacciata di un
loro fantoccio, lo Scià, e l’avvento di un socialismo in
salsa islamica. Il secondo tempo inizia con la guerra mossa
all’Iran da Saddam Hussein che riteneva lo Stato persiano
indebolito dalla caduta dello Scià.
Per cinque anni le democrazie occidentali, Stati Uniti in
testa, stettero a guardare limitandosi a fornire di armi
entrambi i contendenti (il business “non olet”) perché
potessero ammazzarsi meglio.
Nel 1985 i pasdaran iraniani, male armati ma molto più
motivati degli iracheni, erano sorprendentemente davanti a
Bassora e stavano per conquistarla. La presa di Bassora
avrebbe avuto tre conseguenze.
1) L’unione dell’ovest iracheno con l’Iran, cosa del tutto
ragionevole perché si tratta della stessa gente dal punto di
vista antropologico, culturale e religioso.
2) La caduta immediata di Saddam Hussein.
3) La creazione di uno Stato curdo nella parte irachena che
era stata fino ad allora sotto il tallone di ferro del raìs
di Baghdad.
Insomma si sarebbe sistemata, in modo politicamente e
geograficamente ragionevole, quell’area incandescente. Ma la
cosa non poteva garbare agli americani. Per molti motivi, il
principale dei quali era forse che un Kurdistan iracheno
autonomo sarebbe stato una pericolosa spina nel fianco della
Turchia, che si trovava con 12 milioni di curdi, ferocemente
repressi, nei propri confini, Turchia che era a quei tempi
un’importante e fedele alleato degli Stati Uniti.
A quel punto intervennero gli americani. Per ‘motivi
umanitari’ naturalmente: “Non possiamo permettere alle orde
iraniane di entrare a Bassora, sarebbe un massacro” (gli
eserciti regolari sono i nostri, quelli degli altri sono
solo “orde”).
Risultato dell’‘intervento umanitario’: la guerra Iraq-Iran
che sarebbe finita nel 1985 con un bilancio di mezzo milione
di morti, terminerà solo tre anni dopo con un bilancio di un
milione e mezzo di morti, mentre Saddam, galvanizzato dalle
armi, anche chimiche, che gli erano state fornite da
americani, francesi e sovietici, aggredirà il Kuwait.
E sarà la prima guerra del Golfo dove sotto i bombardamenti
degli Usa moriranno 157.971 civili, fra cui 32.195 bambini.
Il terzo tempo riguarda l’aggressione americana all’Iraq di
Saddam Hussein del 2003. Risultato: la consegna agli
iraniani, senza che questi avessero avuto bisogno di sparare
un solo colpo, di quella parte dell’Iraq che gli era stato
impedito di conquistare ai tempi della guerra Iraq-Iran.
Il quarto tempo, anche se non in senso cronologico, riguarda
la questione nucleare iraniana oggi all’ordine del giorno.
Gli iraniani avevano sottoscritto da tempo il Trattato di
non proliferazione nucleare e avevano permesso agli esperti
dell’Aiea (Agenzia internazionale per l’energia atomica) di
ispezionare le loro centrali nucleari per controllare che
l’arricchimento dell’uranio non superasse il 20% (cioè a usi
civili e medici, per arrivare all’Atomica l’arricchimento
deve essere del 90%).
Nel frattempo, e non si capisce bene il perché dati questi
presupposti, gli americani avevano cominciato a imporre
sanzioni all’Iran per strangolare economicamente quel Paese.
Nel 2015 fra i componenti del cosiddetto “5+1”, vale a dire
tutti i Paesi che fanno parte del Consiglio di sicurezza più
la Germania, si stipulò con l’Iran un nuovo accordo: gli
iraniani riducevano l’arricchimento dell’uranio nelle loro
centrali dal 20% al 3,67%, concentravano le loro attività
nucleari in un solo sito in modo che fosse facilmente
controllabile e accettavano, come avevano sempre fatto, le
ispezioni dell’Aiea. In cambio ottenevano la cessazione
delle sanzioni economiche imposte dagli Stati Uniti e al
loro seguito dall’Unione Europea. La questione sembrava
quindi risolta.
Ma con l’arrivo di Trump gli Stati Uniti si sono sfilati
dall’accordo nonostante gli iraniani lo avessero rispettato
al millimetro come è stato confermato dall’Aiea e
dall’Unione europea. Ora, un accordo internazionale viene
firmato da un governo ma impegna lo Stato che lo
sottoscrive. Non è pensabile che venga stracciato a ogni
cambio di governo in questo o in quel Paese. Ma così è
stato.
Non solo gli Stati Uniti hanno incrementato le sanzioni
economiche contro l’Iran ma hanno cercato di imporre anche
agli altri Paesi, anche a quelli che non sono certamente
loro alleati come la Cina, di fare lo stesso. Per ottenere
questo obiettivo impediscono alle grandi banche
internazionali che gli altri Paesi possano fare transazioni
economiche con l’Iran.
Per la verità non si capisce perché una banca internazionale
non americana debba sottostare a un diktat americano. Ma
così è stato e l’Unione europea, sempre molto prona agli
Stati Uniti, pronta anche a strisciare ai piedi di the
Donald alla moda del ‘duro’ Salvini, per aggirare il diktat
ha creato un canale speciale per poter avere rapporti
economici con l’Iran dal quale, visto l’accordo del 2015,
non ha nulla da temere.
Ma gli americani continuano imperterriti. A sanzioni hanno
aggiunto altre sanzioni, altre provocazioni, fino ad
arrivare all’attacco cibernetico. Trump ha tuonato: “Non
permetteremo mai all’Iran di farsi l’Atomica”.
Fa un po’ sorridere che un Paese che è seduto su un arsenale
di circa 7.000 Atomiche voglia impedire ad un altro, che
d’altronde non ne ha nessuna intenzione, a meno che non si
continui a fracassarne l’economia, di farsene una.
Ma, si sa, gli Stati Uniti sono una Superpotenza e hanno la
forza di fare una politica da Superpotenza.
Ma quello che veramente non si capisce è perché Israele, che
Superpotenza non è, possa possedere tranquillamente da anni
missili con testate nucleari puntati direttamente su Teheran
senza che nessuno si sogni di comminargli non dico una
sanzione economica, ma gli dia almeno una tirata d’orecchie.
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