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Il problema non è Salvini che si
crede il presidente del Consiglio. Il problema sono tutti quelli che
lo credono il presidente del Consiglio e lo convincono di esserlo.
La mitomania è un fenomeno piuttosto
noto e ricorrente nella letteratura, soprattutto clinica: la
“tendenza ad accettare come realtà, in modo più o meno volontario e
cosciente, i prodotti della propria fantasia e a raccontarli come
veri allo scopo di attirare su di sé l’attenzione altrui e
soddisfare così la propria vanità”.
I reparti psichiatrici sono pieni di
degenti che si credono Napoleone, Garibaldi, Leonardo da Vinci. A
prenderli per tempo, sono pure curabili.
Il guaio è quando gli psichiatri,
anziché curare i pazienti, assecondano le loro mitomanie.
Nel caso di Salvini, questa funzione
asseverativa la svolgono i giornaloni. Che, prima delle elezioni, lo
descrivevano come un infaticabile stakanovista delle leggi e delle
decisioni, unico padrone incontrastato del governo, anche se non ha
praticamente mai messo piede al Viminale e quasi tutte le norme
prodotte da maggioranza e governo sono targate 5Stelle.
E ora, dopo il voto, continuano
imperterriti a correr dietro a quel che dice, come se le sue parole
avessero un qualsivoglia rapporto con la realtà. Sono stati loro,
prim’ancora della sua macchina da like detta “Bestia” e degli
elettori, a pompare questo fenomeno da baraccone tutto virtuale,
questo pallone gonfiato pieno d’aria e ora anche di voti.
Un caso ormai incurabile di mitomane
che si crede Superpremier e Superministro e cambia dicastero a ogni
ora del giorno, come il personaggio di Alberto Sordi in Troppo forte
di Carlo Verdone: l’avvocato Giangiacomo Pignacorelli in Selci che,
di punto in bianco, sgrana gli occhi, trilla “dadan-dadan!”, smette
la toga e indossa la tutina aderente per diventare un
ballerino-coreografo che danza sull’aria di Oci Ciornie, mentre le
anziane sorelle ricordano “quando faceva il dentista e cavò tre
denti al fruttivendolo che gli fece causa perché erano tutti sani”.
Alle pareti, le foto delle sue precedenti incarnazioni accanto a
Papa Giovanni e Togliatti.
Ore 8, ministro della Difesa.
Salvini, in tuta mimetica, attacca la collega Trenta, dicendosi
deluso di come conduce il dicastero e alludendo a un imminente
rimpasto per rimediare personalmente. Dunque, “non chiedo
rimpasti”.
Ore 9, ministro
dei Trasporti e Infrastrutture. Salvini, in divisa da capomastro,
attacca il collega Toninelli, dicendosi furioso per il blocco dei
cantieri (senza mai dire quali, anche perché non ne è stato bloccato
neppure uno) e lodare “la Tav” che ora sarà “finanziata per il 55%
dall’Ue” (ovviamente ignara di tutto).
Insomma, “con
Toninelli ci sono problemi, è evidente”. Dunque “ho piena fiducia in
Toninelli”.
Ore 10, ministro del Sud. Salvini, in coppola, giacca di velluto e
cartucciera, se la prende con la collega Barbara Lezzi che lui
sostituirebbe volentieri perché sa cosa fare per il Sud. Ma non lo
dice, sennò gli rubano l’idea. Dunque, “nessun rimpasto”.
Ore 11,
ministro dell’Ambiente. Salvini, con la felpa di Greenpeace, critica
il collega Sergio Costa perché non sa fare il suo mestiere,
rifiutando di riempire l’Italia di inceneritori e di cantieri
inquinanti. Dunque, “niente rimpasti”.
Ore 12, ministro della Chiesa.
Salvini, in completo bianco, con tanto di tiara, mitria e papalina
pontificia, si affaccia dalla finestra di via Bellerio per la
tradizionale recita del Mattheus: bacia un rosario, la teca
portatile col sangue di San Gennaro e un dente di Padre Pio. Poi
polemizza con papa Francesco che non lo riceve in Vaticano. “Io, al
suo posto, mi sarei già ricevuto”.
Ore 13, ministro della Giustizia.
Salvini, appresa la notizia della condanna del suo viceministro Rixi
a 3 anni e 5 mesi di carcere per peculato, indossa la toga di
avvocato e giudice, dice che “non ci sono prove” e “accetta le
dimissioni di Rixi” nelle proprie mani per il bene del governo e
della Nazione tutta. Poi Rixi apprende che le dimissioni, perché
siano valide, deve inviarle a Conte che deve firmare un decreto e
inviarlo a Mattarella: così le gira al premier, di nascosto dal
capo.
Ore 14, pausa pranzo.
Ore 15, ministro dell’Economia.
Salvini, travestito da docente di Economia, annuncia che l’Italia
sforerà il 3% di deficit e farà subito la Flat tax. Poi si reca in
visita al ministro Tria e gli comunica che il 3% non si sfora, senza
fargli il minimo accenno alla Flat tax. All’uscita, conferma che è
tutto a posto per lo sforamento del 3% e la Flat tax.
Ore 16, ministro delle Finanze.
Salvini, in divisa da fiscalista, annuncia un condono tributario,
che però nessuno ha visto. Nemmeno lui.
Ore 17, ministro dello Sviluppo
economico. Salvini, un po’ stretto nell’abitino di Di Maio, si
accorda con i 5Stelle sul dl Sblocca-cantieri. Poi, all’uscita, fa
presentare dai suoi un emendamento allo Sblocca-cantieri che lo
bloccherebbe, trasformandolo nel Blocca-cantieri.
Ore 18, ministro dei 5Stelle.
Salvini, travestito da Beppe Grillo con parrucca e barba posticcia,
intima ad Alessandro Di Battista di non immischiarsi nel M5S:
“Prenda il motorino e giri il mondo”.
Ore 19, ministro della Rai. Salvini
si affaccia dal settimo piano di Viale Mazzini 14 e comunica urbi et
orbi che “Fazio e Lerner alla Rai non sono il cambiamento”,
diversamente da Teresa De Santis (in Rai dal 1979) e Gennaro
Sangiuliano (dal 2003).
Ore 20, ministro della Salute.
Salvini, in camice bianco da dentista, viene fermato da un passante
che gli domanda: “Ma lei non è il ministro dell’Interno?”. E lui:
“Certo, infatti ho appena minacciato di revocare la scorta a Saviano”.
Poi cava tre denti sani al fruttivendolo sotto casa. Nessuna notizia
degli psichiatri che lo hanno in cura.
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