Ma le avete viste le facce
dei cosiddetti vincitori delle Olimpiadi nella foto di
gruppo? E le fauci già spalancate dei Malagò, Montezemolo,
Carraro, Pescante e Sala? Fauci già sperimentate sugli stadi
·
di Italia 90 (spese lievitate dell’85%, ultima rata dicembre
2015),
·
le Olimpiadi invernali di Torino 2006 (3,1 miliardi di
debito, il 225% delle entrate, cattedrali nel deserto e
trampolini nella neve),
·
i Mondiali di nuoto 2009 (700 milioni di euro per il palazzo
di Calatrava con le vele a pinna a Tor Vergata, mai finito;
piscine sequestrate e/o di dimensioni sballate; scheletri in
cemento armato abbandonati ai tossici e alle sterpaglie),
·
l’Expo di Milano 2015 (retate di tangentisti e
’ndranghetisti, 1,5 miliardi di buco, mega-aree
abbandonate).
Magari ci sbagliamo e gli
stessi personaggi, che hanno sempre fallito, al seguito di
Giorgetti e Zaia si trasformeranno in tanti Quintino Sella e
faranno tutto per bene, per tempo e al risparmio. Ma,
nell’attesa, solo un pazzo smemorato può unirsi
all’esultanza di lorsignori per avere “vinto” un evento che
negli ultimi 50 anni – dati dell’Università di Oxford – ha
regolarmente sforato i preventivi per una media del 257%
(796% Montréal, 417 per Barcellona, 321 Lake Placid, 287
Londra, 277 Lillehammer, 201 Grenoble, 173 Sarajevo, 147
Atlanta, 135 Albertville, 90 Sydney, 82 Torino, 51 Rio).
Lasciando ai Paesi e alle città ospitanti un conto
salatissimo da pagare, che ha portato al default Atene e
Rio, al debito-record Torino e le altre all’aumento
vertiginoso delle imposte locali.
Anche al netto delle
eventuali tangenti. Infatti le città più avvedute – Sion,
Calgary, Innsbruck e Graz – si sono ritirate, terrorizzate
da quella che Oxford chiama la “maledizione del vincitore”
(le Olimpiadi le vince chi le perde e le perde chi le vince:
l’unico che ci guadagna è il Cio).
Il
Giornale Unico degli Affari suona le grancasse e le
trombette a reti ed edicole unificate, come se l’Italia
avesse vinto la guerra mondiale e non un “evento” che dura
15 giorni. Ma è tutta propaganda per pompare Lega&Pd che si
sono spartiti queste strane Olimpiadi invernali in una città
senza montagne, Milano, e in un’altra che rischia di
tracollare sotto il peso dei visitatori, Cortina, distante
409 km.
L’alternativa era Torino
che, oltre al dettaglio delle Alpi, aveva il pregio di
costare poco grazie alle strutture del 2006. Ma tutti
raccontano la fake news della sindaca M5S Chiara
Appendino che avrebbe detto “no”.
Balle: si era candidata, ma
era stata respinta dal duo Giorgetti-Malagò che voleva
relegare Torino al rango di ruota di scorta di
Milano-Cortina, con un paio di gare secondarie tutte da
ridere.
Non
contenti, i trombettieri tirano in ballo pure Virginia Raggi
per il no alle Olimpiadi 2024, che non c’entrano nulla con
quelle invernali (costano il quintuplo). Senza contare che
Milano, Cortina, Lombardia e Veneto sono ricchi, mentre Roma
ha un buco di 13 miliardi dal 2008.
Infatti nessuno
lo ricorda, ma Roma ha rinunciato pure ai Giochi del 2020. E
per mano di Mario Monti, non proprio un grillino nemico del
Pil. Il 13 febbraio 2012 Monti revocò la candidatura
lanciata dal duo B.-Alemanno perché “non sarebbe
responsabile prendere un impegno finanziario che potrebbe
gravare in misura imprevedibile sull’Italia per i prossimi
anni”.
Anziché
vomitargli addosso anatemi e improperi, come accadde quattro
anni dopo alla Raggi, e inneggiare alle Olimpiadi che
portano sviluppo, lavoro e letizia, come fanno oggi, tutti
beatificarono Monti come il nuovo Cavour. Applausi
scroscianti dal Pd (Rosato, Bonaccini, Melandri, Bersani,
Gentiloni, Sassoli e Letta) e dai giornaloni al seguito.
Oggi
Repubblica titola “Miracolo a Milano (e a Cortina)”. Ma il
14.2.2012 plaudiva al ritiro della candidatura olimpica
addirittura in tre articoli. Francesco Bei flautava: “Le
‘cricche’ d’affari romane, lo spettro del default greco, la
vaghezza del piano, il rischio di una guerra diplomatica al
termine dalla quale, alla fine, l’Italia sarebbe finita
distrutta come un vaso di coccio.
Sono molte le
ragioni che hanno spinto Monti a pronunciare il suo no”. Gli
faceva eco Tito Boeri: “La tragedia greca era iniziata
proprio lì, con la candidatura ad ospitare le Olimpiadi.
I sovracosti
incorsi nella preparazione di Atene 2004 hanno contribuito a
quella spirale di deficit pubblici crescenti, mascherati in
vario modo per non pregiudicare l’ingresso nell’unione
monetaria, che hanno portato alla crisi del debito”. Seguiva
un’impietosa analisi finanziaria di Walter Galbiati: “Non
esiste una formula matematica certa che possa valutare il
ritorno economico che giustifichi lo spendere 5, 10 o 15
miliardi per realizzare i Giochi. Il ritorno di immagine e
gli introiti aggiuntivi, che si trasformano in Pil, sono
frutto di stime difficilmente ponderabili. I costi invece
sono certi”.
Oggi il
Corriere esalta “La vittoria di Milano e Cortina”, “immagine
di un Paese giovane che sa sorridere” (le fauci della Banda
dei Quattro). Sette anni fa tripudiava per lo scampato
pericolo: “Tra il 2014 e il 2018 lo Stato avrebbe dovuto
trovare una copertura di 800 milioni l’anno. Con buona pace
di chi aveva parlato di Olimpiadi a costo zero”.
E Sergio Rizzo irrideva ai
“musi lunghi delle nostre alte gerarchie sportive” (i soliti
Malagò, Montezemolo, Carraro e Pescante): “Si è arrivati a
sostenere che sarebbe stata un’operazione ‘a costo zero’ con
le spese coperte da introiti fiscali e incassi dei
biglietti. Spese astronomiche già in partenza.
Otto miliardi? Dieci? Quanti
davvero? Il partito dei Giochi avrebbe dovuto ricordare che
da troppi anni sbagliamo, e per difetto, ogni preventivo. Di
soldi e di tempi”. E giù botte alle solite cricche: “Un
impasto mostruoso di burocrazia, interessi politici e
lobbistici che spesso alimenta la corruzione e ci fa pagare
un chilometro di strada il triplo che nel resto d’Europa.
E in due decenni non è
cambiato proprio nulla. Anzi. Per rifare gli stadi di Italia
90 abbiamo speso l’equivalente di un miliardo e 160 milioni
di euro, l’84% più di quanto era previsto? Nel 2009 ci siamo
superati, arrivando ai Mondiali di nuoto senza le piscine,
ma con una bella dose di inchieste”.
Quattro anni dopo, Rizzo
passò a Repubblica e massacrò la Raggi per aver ribadito il
no montiano per il 2024. E ora magnifica “l’occasione per
Milano per fare un altro salto nella graduatoria delle
metropoli europee. E scavare ancora più in profondità
l’abisso che già la separa dalla capitale”. Tutto fa brodo.
La
Stampa è tutto un peana all’ “Italia che vince”, a “Mr Wolf
Giorgetti missione compiuta”, mentre lacrima per “Torino
beffata” e l’Appendino che “non si pente”.
Quando invece era Monti a
ritirarsi dai Giochi, elogiava “la coerenza di un no
responsabile”, in sintonia con “le attese dei cittadini”. E
persino il Sole 24 Ore, organo di Confindustria, oggi
entusiasta perché “vince lo sprint dell’Italia”, nel 2012
definiva “l’avventura delle Olimpiadi un rischio il cui
costo avrebbe creato un effetto sui conti pubblici
difficilmente calcolabile”.
Un po’ come Salvini, che
quando Renzi candidò Roma per il 2026 twittava furibondo:
“Gente che in tutta Italia aspetta una casa e un lavoro da
anni. E Renzi pensa di fare le Olimpiadi. Ricoverateloooo”.
E nel 2016 ribadiva: “Renzi
propone le Olimpiadi a Roma nel 2024. Per me è una follia,
sarebbe l’Olimpiade dello Spreco. Il fenomeno di Firenze
pensi alle migliaia di società sportive dilettantistiche
italiane, che fanno fare sport a tantissimi bambini e che
rischiano di chiudere per colpa dello Stato, invece di
fantasticare su improbabili Olimpiadi.
Senza contare tutti i debiti
e gli sprechi del passato e del presente. Tirino fuori i
soldi per sistemare strade, scuole e ospedali”.
Oggi lapida la Raggi per
aver salvato Roma dal default, seguendo saggiamente i suoi
consigli.
E racconta la balla dell’Appendino
contraria alle Olimpiadi, all’unisono con politici e
giornaloni.
I quali dimenticano un
dettaglio: esclusa dai Giochi, la Appendino s’è rimboccata
le maniche e ha battuto 40 città concorrenti (pure Londra e
Tokyo) aggiudicando a Torino un evento sportivo molto meno
costoso per lo Stato (78 milioni contro il mezzo miliardo,
se basta, dei Giochi invernali) e più vantaggioso: le finali
Atp di tennis, che portano alla città ospitante centinaia di
migliaia di turisti e centinaia di milioni di introiti. E
non durano 15 giorni, ma 5 anni. Però nessuno lo dice. C’è
poco da rubare.
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