L’Italia di Matteo Salvini, che oggi
è al 34% ma potrebbe arrivare al 40 e forse anche al 50%,
·
vota il
capo che agita il rosario,
·
che
chiede la cacciata dei giornalisti sgraditi (Lerner),
·
che
vuole togliere la scorta agli oppositori (Saviano),
·
che dice
me ne frego alle regole Ue (anche se poi i maggiori interessi sul
debito li paghiamo tutti quanti noi).
·
È anche
l’Italia dell’assessore leghista di Ferrara che dorme con la pistola
sotto il cuscino.
·
Del
deputato leghista di Vercelli che deride la sindaca uscente del Pd
con una card sessista.
·
E che
include gli ultra neonazisti del Verona che cantano: “Siamo una
squadra a forma di svastica”.
L’Italia a cui si è rivolto lunedì
scorso Giuseppe Conte – e che, molto probabilmente, non appartiene
al 50% di cui sopra ma forse all’altro 50% – è invece convinta, per
esempio,
·
che le
regole di Bruxelles vadano rispettate “finché non saremo in grado di
cambiarle”.
·
Essa non
ama la politica che “colleziona like”, ma apprezza chi si sforza di
essere “sobrio nelle parole e operoso nelle azioni”.
·
Chi
rifugge dalle “veline quotidiane e dalle freddure a mezzo social”.
·
Chi
pretende dai ministri “leale collaborazione, senza prevaricare su
scelte che non gli competono e non lanciando messaggi ambigui sui
giornali”.
Il vicepremier
Salvini, ci mancherebbe altro, detesta l’uso della violenza fisica e
i messaggi sessisti. Quanto a chi lo accusa di essere un “fascista”,
o straparla o si rifugia nell’insulto in mancanza di argomenti più
solidi.
Tuttavia, l’uomo del 34% sembra
quotidianamente impegnato a sobillare la pancia, diciamo così, del
suo popolo per raggiungere rapidamente il 50%.
Mentre sul versante opposto il
premier Conte non si crede De Gasperi e non nega di essersi trovato
un giorno a Palazzo Chigi grazie a una carambola di fortunate (per
lui) circostanze.
Però, da servitore leale delle
istituzioni si dichiara pronto a lasciare immediatamente la
poltrona, poiché non ci tiene a “vivacchiare”.
Salvini non è
Belzebù così come l’avvocato di Volturara Appula non ce lo ha
inviato Padre Pio ma entrambi oggi, forse senza saperlo,
rappresentano due Italie diverse e contrapposte.
Che non vanno distinte seguendo
banalmente il criterio di destra e di sinistra (la parola sinistra
si addice a Conte come le buone maniere a Donald Trump).
Poiché ciò che le tiene decisamente
separate non è l’ideologia bensì la Costituzione della Repubblica.
Nell’ultimo anno tutto ciò che il
salvinismo ha fatto emergere dalle viscere del Paese ha finito per
generare nella società italiana una naturale reazione degli
anticorpi.
Per un po’ i diktat sui porti da
chiudere o sulle navi dei migranti da abbandonare al proprio
destino, i proclami duceschi sulla pacchia finita, le scorribande
sulle competenze di altri ministri e dicasteri avevano colto di
sorpresa chi aveva fatto l’abitudine alle formule rituali (e alle
ipocrisie) del politicamente corretto.
Da questo punto di vista
l’agire-choc di Salvini, e il relativo esplicito linguaggio, hanno
avuto l’effetto positivo di eliminare la fuffa retorica del
sinistrese e di rafforzare, appunto, i convincimenti che attingono
forza direttamente dalle radici della nostra Carta.
Fateci caso, nei passaggi chiave
della conferenza stampa di Conte si fa riferimento
all’indispensabile equilibrio tra entrate e spese (art. 81), là dove
si nega la possibilità di aggirare le regole europee su debito
pubblico e deficit, come auspicato dal capo leghista.
O dove si fissa il limite delle
autonomie regionali, che però “non devono aggravare il divario tra
Nord e Sud” (art. 5). O dove si rammenta all’iperattivo ministro
degli Interni che non può “prevaricare” intervenendo sull’attività
dei colleghi di governo.
E che non un unto del Signore o dai
santi Cirillo e Metodio ma il presidente del Consiglio “dirige la
politica generale del governo e ne è responsabile” (art. 95).
Conte ha avuto il merito di
denunciare pubblicamente lo stravolgimento delle regole. E di
rammentarle al Paese (e a chi fa finta di non capire). Cosicché
quando, presto o tardi, si tornerà al voto gli italiani sapranno
che, al di là dei programmi dei partiti o delle coalizioni, saranno
chiamati a una scelta decisiva e senza compromessi. Tra chi rispetta
la Costituzione. E chi no.
|