Dite la verità: non siete
anche voi stupefatti e sgomenti per “il veto gialloverde su
Enrico Letta” denunciato da Repubblica?
Se è vero quel che scrive il
quotidiano dei migliori-buoni-giusti dell’“altra Italia”, è
accaduto questo: misteriose entità vaganti fra Bruxelles e
Strasburgo non specificate avrebbero offerto a Di Maio e
Salvini la preziosa opportunità di nominare l’ex premier del
Pd, quello che nel 2014 governò con Berlusconi, nientemeno
che alla guida del Consiglio europeo.
Ma quelli niente, se la sono
lasciata sfuggire. Per la verità, questi illustri
euroectoplasmi avevano prospettato anche alcune alternative
ancor più succulente: Renzi, Gentiloni e Monti.
Ma i cattivoni giallo-verdi
non hanno raccolto neppure quelle: hanno “sostanzialmente
bloccato sul nascere la trattativa” (non si sa con chi).
Ma si può? Chi ti insulta un
giorno sì e un altro pure e non vede l’ora di sterminarti
con una procedura d’infrazione ti propone di nominare come
unico rappresentante italiano in Europa un tuo acerrimo
nemico, che rappresenta un partito del 20% (senza
neppure esservi iscritto) e ti dà continuamente del
cialtrone, dell’incapace e del fascista, e tu che fai? Dici
no? Roba da matti.
Se, per dire, ai premier
Monti o Letta o Renzi o Gentiloni ai loro tempi qualcuno
avesse detto: “Che ne dici di promuovere al Consiglio
d’Europa Di Maio o Di Battista o Salvini o Borghezio?”,
quelli, sportivi come sono, avrebbero firmato su due piedi.
Altrimenti Repubblica
avrebbe dovuto titolare “Veto montiano su Di Maio”, “Veto
lettiano su Salvini”, “Veto renziano su Di Battista”, “Veto
gentiloniano su Borghezio”. E qualcuno avrebbe domandato:
embè?
Anziché domandarsi perché
solo il 25% dei votanti, pari al 15% degli elettori, vota
ancora centrosinistra e studiare il modo di recuperare i
milioni di elettori perduti, il club dei
migliori-buoni-giusti rifiuta l’idea che in democrazia il
diritto di governare sia direttamente e non inversamente
proporzionale ai consensi.
Ritiene che il governo sia
riservato agli iscritti al club privé, anche se non li vota
nessuno. E non si dà pace che governi chi ha la maggioranza:
molto meglio i governi di minoranza dell’ultimo quinquennio.
L’altra sera, a Otto e
mezzo, ci si interrogava sul perché i 5Stelle restino al
governo anziché farlo cadere. Domanda che si potrebbe porre
a chiunque vinca le elezioni in qualsiasi democrazia del
pianeta, ma curiosamente la sentiamo porre solo in Italia e
solo al M5S.
Le risposte degli ospiti –
Lella Costa, il rag. Claudio Cerasa e Luca Telese – erano
che i 5Stelle “amano il potere e vogliono fare le nomine”.
O “da buoni rivoluzionari si
illudono di fare le cose”. O “non vogliono perdere le
poltrone, del resto quando gli ricapita?”. Esclusa a priori
la risposta più ovvia: chi prende il 33% alle Politiche, le
uniche che contino per il governo nazionale, ha non solo il
diritto, ma il dovere di governare per cinque anni con i
propri alleati e di realizzare il programma premiato dagli
elettori, finché ha la fiducia del Parlamento.
Non che quello giallo-verde
sia il miglior governo possibile, tutt’altro: ma è l’unico
possibile in questa legislatura, a causa della mancanza di
alternative dovuta alla cinica scelta del Pd di Renzi e poi
di Zingaretti di rifiutare qualunque dialogo col M5S.
Ora, dopo le Europee che li
hanno dissanguati, i 5Stelle sono tentati di cercare un buon
pretesto per affossare il governo, ritirarsi
all’opposizione, leccarsi le ferite, ritrovare l’identità
smarrita, tentare la rimonta e lasciare ad altri il peso di
una impopolarissima legge di Bilancio.
Ma poi ha parlato Conte e ha
garantito che non farà il prestanome di Salvini. Non sarà
facile, ma vale la pena di sostenerlo. Le possibili
conseguenze della sua caduta sarebbero solo due:
o le elezioni a settembre,
che ci regalerebbero un governo Salvini-Meloni (con o senza
FI);
o una spaccatura del M5S,
con una pattuglia di parlamentari terrorizzati di votare e
perdere il seggio, pronti a salutare Di Maio per sostenere
un governo Salvini-FdI-FI.
Cioè: se cade Conte,
comunque vada, avremo Salvini a Palazzo Chigi. E chi
spensieratamente tifa contro Conte dovrà pentirsene e
rimpiangerlo. Perché le follie che Salvini non è ancora
riuscito a realizzare grazie al freno di M5S e Conte
diventerebbero ipso facto legge:
·
dl Sicurezza-bis,
·
secessione del Nord,
·
Tav,
·
deregulation totale
sugli appalti,
·
sottomissione dei pm
al governo,
·
abolizione dell’abuso
d’ufficio,
·
ritorno della
prescrizione,
·
flat tax per ricchi,
·
mano libera alle
lobby del cemento e del petrolio contro l’ambiente
·
mano libera alle
forze dell’ordine contro il dissenso,
·
scelta del nuovo
presidente della Repubblica, riservata a Salvini e vassalli,
nel 2022.
È vero: dopo le Europee, il
rischio è che alcuni di questi incubi si avverino anche con
questo governo, se Conte e i 5Stelle non troveranno la forza
di arginare la bulimia salviniana.
Ma, per scongiurarlo,
occorre spronare il premier e Di Maio a mangiare bistecche
di tigre. E a tenere pronte le dimissioni per non rendersi
mai complici.
Ma che senso ha accelerare
la caduta di una maggioranza formata per due terzi dal M5S e
per un terzo dalla Lega per sostituirla con una tutta
salviniana?
È il sogno di Salvini, che
pagherebbe per veder cadere Conte per mano M5S e poi
prendersi tutto senza pagare il prezzo dello spread e
dell’impopolarità.
Resta da capire cosa ci
guadagnerebbe il Pd, che invoca scriteriatamente le elezioni
e a prendersela con gli unici che ancora possono frenare il
salvinismo arrembante.
E soprattutto cosa ci
guadagnerebbe l’Italia. Solo un pazzo può voler votare ora,
nel momento più alto della parabola politica di Salvini,
anziché lasciarlo logorare un altro po’ alla prova più
temuta dai parolai e dai cazzari: quella dei fatti.
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