“In Rai M5S e Lega si
spartiscono autori e conduttori. Sembra di stare al mercato.
Come e peggio di prima. Senza ritegno”.
Riccardo Laganà,
consigliere Rai in rappresentanza di 13 mila dipendenti
Ancora più della Rai, dove
l’attuale spartizione delle nomine è in totale coerenza con
gli usi e costumi più indecenti della politica, colpisce la
notizia del geriatra collocato dal governo gialloverde alla
presidenza del Conservatorio Scarlatti di Palermo.
E non fa affatto ridere che
nello scombiccherato curriculum il dottor Mario Barbagallo
abbia citato uno zio musicista. Oltre alla “passione per la
musica classica” e all’“avere assistito a rappresentazioni
musicali in molti dei più importanti teatri del mondo”.
È come se l’autore di questa
rubrica si facesse forte del suo abbonamento allo stadio per
pretendere la presidenza della Roma.
Che gli appetiti di Matteo
Salvini si rafforzino in rapporto ai successi elettorali non
può sorprendere considerata la famelica tradizione della
Lega di governo.
Stupisce invece la velocità
con la quale i grillini hanno accantonato la religione del
merito per accomodarsi, come tutti gli altri, al tavolo Rai
dove si distribuiscono stipendi e poltrone.
Secondo l’inveterato
criterio dell’una a me e una a te. Eppure, quando i Cinque
Stelle indicarono per il vertice di Viale Mazzini Fabrizio
Salini, furono (fummo) in tanti ad apprezzare la scelta.
Uomo di prodotto, privo di
etichette di partito il nuovo amministratore delegato
avrebbe certamente lavorato per migliorare il servizio
pubblico radiotelevisivo con scelte improntate a competenza
ed esperienza.
Così pensavamo e così ha
cercato di muoversi Salini fino a quando qualcosa nella
catena di comando si è inceppato, probabilmente a causa
dell’accresciuta invadenza del presidente sovranista (e
salvinista) Marcello Foa.
Al punto, come riferiscono
le cronache, che la zarina di Rai1, Teresa De Santis, ha
potuto stravolgere la struttura di Unomattina (con la
cacciata di autori di provata capacità) per collocarvi un
tal Poletti, biografo prediletto dell’arrembante Capitano.
Con ciò “infischiandosene”
(Laganà) della direttiva con cui Salini ha chiesto,
correttamente, di privilegiare le risorse interne. Insomma,
i buoni propositi sbandierati da Luigi Di Maio giusto un
anno fa (“cacciare raccomandati e figli di…”) sembrano
evaporare a contatto con l’esercizio quotidiano del potere.
Senza contare le conseguenze
della disastrosa sconfitta del 26 maggio scorso che potrebbe
generare nel Movimento la sindrome del si salvi chi può.
Non vogliamo credere alla
vulgata secondo cui il M5S, vista la mala parata, sarebbe
disposto ad accettare i diktat salviniani pur di conservare
gli attuali assetti nel governo e nel Parlamento. Pensiamo,
al contrario, che per recuperare almeno una parte del
consenso perduto converrebbe ai Cinque Stelle ritornare a
quello spirito originario che valorizzava il merito rispetto
alle casacche, e che tante speranze aveva suscitato.
Soprattutto ora con l’ondata
di nomine che stanno per ridisegnare la mappa del nuovo
potere pubblico, tra banche, authority, ministeri, apparati.
Evitando, se possibile, di
nominare l’ex compagno di scuola o il dentista di fiducia
all’Accademia dei Lincei. |